domenica 24 gennaio 2010

Musica italiana


La notizia non è tanto fresca ma vale la pena commentarla. il 18 di dicembre scorso, il sindaco di Milano, Letizia Moratti, presentando il progetto LiveMi, promosso dal suo Comune, ha dichiarato di aver intenzione di presentare un progetto di legge (ma i sindaci possono?) che dovrà imporre alle radio nazionali la trasmissione di una quota minima del 30% (che ad una successiva intervista è diventata 50%) di musica italiana sulla falsariga della norma in vigore in Francia, a tutela della produzione locale e a sostegno dei giovani musicisti.
Negli ultimi tempi i politici - soprattutto della parte governativa - fanno la gara su chi la sparerà più grossa… Dopo aver pensato di imporre un tetto per il numero di bambini stranieri per classe (il 30% appunto) adesso è arrivato il turno della musica che si sente alla radio. Già il fatto di pensare di guidare i gusti del pubblico con metodi coercitivi dichiarati mi fa rabbrividire, Francia o non Francia. Ma prendiamo le cose dall’inizio:
- Prima di tutto quando si dice “musica italiana” si intende canzoni cantate in italiano da artisti – immagino – italiani, quindi si parla di musica leggera e di un certo tipo, disimpegnata, ripetitiva, superficiale, la Moratti non aveva certo in mente Danilo Rea, Enrico Rava o Gian Francesco Malipiero oppure Luigi Nono quando ha formulato la proposta.
- Quando ci fa comodo il libero mercato va a farsi benedire, si propone allegramente di instaurare un regime di protezionismo, culturale ma anche commerciale, pensando di poter governare il mercato con metodi autoritari, come del resto si tenta di fare in tutti gli altri campi.
- L’esempio della Francia non ci dà segnali incoraggianti, la norma ha aiutato le radio francesi a diventare ancora più noiose e monotone, ma fuori dalla propria patria non ha avuto successo neanche un artista francese, se mi sbaglio fatemi un nome, uno solo.
- La proposta autarchica musicale morattiana trae ispirazione anche da altri modelli, che non sono stati citati, ma viene spontaneo fare il paragone con i metodi usati dal fascismo per soffocare la musica jazz ed in generale la musica straniera durante il ventennio, oppure l’assoluta proibizione di suonare musiche “degenerate” nella Germania nazista.

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