martedì 23 agosto 2011

Il Piano europeo non ridurrà il debito greco


di Peter Allen, Barry Eichengreen e Gary Evans 
articolo apparso il 5 agosto 2011 su
http://www.bloomberg.com/news/2011-08-05/europe-s-plan-won-t-cut-greek-debt-allen-eichengreen-and-evans.html


Gli analisti che si sono occupati del vertice dell'Unione europea del mese scorso hanno cercato di trovare il motivo per il quale il piano di salvataggio del debito greco sembra non sia riuscito a risollevare la fiducia degli investitori.  Sono state avanzate molte ipotesi: l'incapacità di comunicazione in modo chiaro, la complessità del progetto, la mancanza di coordinamento con il Fondo Monetario Internazionale.
C'è una spiegazione più semplice: l'accordo per la  riduzione del debito è fallito perché non riduce il debito.
La Grecia d'altronde ottiene una riduzione dei tassi di interesse e un allungamento della scadenza del  suo prestito dal Fondo Europeo per la Stabilità Finanziaria. Ma il prestito è stato supervalutato, e il paese dovrà  pagare l'addizionale debito ufficiale.
Il governo di Atene ottiene anche un programma di riacquisto di bond da 20 miliardi di euro (28,7 miliardi dollari), finanziato dalla EFSF. Ma ancora una volta, il paese dovrà rimborsare i fondi utilizzati per finanziare il riacquisto, e in più un 3,5 per cento di interessi.
Tutto questo è un aiuto modesto perché il governo greco deve pagare più del 3,5 per cento per autofinanziarsi sul  mercato. Se non altro  il contribuente europeo ha fatto qualcosa per ridurre l'asfissiante carico del debito della Grecia.
Ma il "contributo" che devono dare le banche è una storia diversa. Ci viene detto che le istituzioni finanziarie che detengono titoli di stato greci dovranno cancellare parte del debito. Ci è stato detto dalla lobby dei banchieri, l'Institute of International Finance, che la riduzione dell'attuale valore netto dei loro titoli è del 21 per cento.

Nessun “Haircut”
Questa percentuale non ha nulla a che fare con l'entità della riduzione del debito della Grecia. Quello che alcuni analisti hanno erroneamente chiamato un "haircut" è semplicemente lo sconto relativo al valore nominale con il quale le bond options saranno scambiate sul mercato secondario, ipotizzando un rendimento dei titoli greci  del 9 per cento.
Per misurare correttamente il servizio e la riduzione del debito, questi valori devono essere confrontati con il tasso di interesse medio del 5,02 per cento con il quale la Grecia paga attualmente le sue obbligazioni. Quando viene preso in considerazione questo valore, anche la tanto decantata riduzione del 20 per cento sul discount bond option è molto più bassa sul valore base attuale, perché il tasso d'interesse nominale dei nuovi bond è più alto rispetto a quello dei vecchi.
La discount bond option a 30 anni, che dovrebbe scambiate il nuovo debito con le obbligazioni esistenti all' 80 per cento del valore nominale, per esempio, ha un tasso d'interesse nominale iniziale del 6 per cento, che sale al al 6,5 per cento il quinto anno e al 6,8 per cento dal 10mo al 30mo anno. La Grecia realizza solo 22 punti base di risparmio sugli interesse per i  primi cinque anni e avrà un risparmio di interessi annui negativo per i successivi 25 anni.

Piccoli Sconti
Anche tenendo conto che la Grecia ripagherà solo l'80 per cento del capitale originario alla fine del 30mo anno, il valore attuale del debito scende solo dell' 1,78 per cento in questa opzione. Questo valore è molto lontano dalla riduzione del 20 per cento che molti analisti si sono affrettati di applaudire...
Nella tabella allegata usiamo le ipotesi dell'  Institute of International Finance  per mostrare come questa operazione influenzerà le finanze della Grecia.


L'accordo contribuisce ad estendere la scadenza dei titoli greci. Quando però arriverà alla sua conclusione, il valore attuale del debito diminuisce solo del 6,78 per cento, o di 9,15 mld €, anche se si accetta l'ipotesi -sicuramente troppo ottimistica- di una partecipazione del 90 per cento dei possessori di obbligazioni. Questa è una proposta costosa, dato che la Grecia dovrà acquistare 42 mld  € di zero-coupon bonds per collateralizzare i pagamenti di capitale obbligazionario. 

Un accordo ingiusto
Questo è un accordo ingiusto prima di tutto per la Grecia. Ed è anche un cattivo accordo per l'area dell'euro, i cui leader ancora una volta non sono riusciti a contenere la crisi. Ed è un cattivo accordo per il contribuente europeo, il quale dovrà sopportare tutti i sacrifici, mentre le banche non ne faranno alcuno.
Perché sono andate così male le cose?
Una risposta è che nessuno dei partecipanti - l'Unione europea, i leader francesi e tedeschi, l'Institute of International Finance – sapesse che cosa stava facendo. Una riduzione del 21 per cento del valore attuale netto suona impressionante, ma non ha alcuna attinenza con  l'importo che questo scambio toglierà dal debito della Grecia. Nessuno ha calcolato il fatto gli zero-coupon bonds a 30 anni sono molto più costosi oggi che i tassi si interesse sono bassi, rispetto a  20 anni fa, ai tempi del Piano Brady. Nessuno ha capito che la conversione del debito in realtà ha portato ad un aumento dei  pagamenti di interessi annui per la Grecia, se si calcola il costo del debito per comprare il capitale obbligazionario collaterale.

Un colpo a chi presta
Può risultare difficile credere che degli esperti possano essere così male informati. L'unica altra spiegazione è che il solo scopo dell'esercitazione è stato quello di indurre in errore. Le banche possono sostenere di aver subito un altro colpo. I parlamentari tedeschi possono dire che il settore privato è stato costretto a "partecipare" al salvataggio della Grecia, mentre in realtà, anche con l'allungamento delle scadenze prenderanno una grandissima parte degli interessi originali.
Questo accordo dovrebbe essere stralciato.  Al suo posto, l'UE dovrebbe creare una vera conversione del debito con veri “haircuts” per le banche ed una significativa riduzione del debito della Grecia.
La buona notizia è che ci sarà l'occasione per cambiare rotta. Il debito della Grecia è ancora insostenibile, e dovrà essere ristrutturato ancora.


(Barry Eichengreen è professore di economia e scienze politiche presso la University of California, Berkeley. Peter Allen e Gary Evans sono economisti che hanno lavorato sulle ristrutturazioni del Piano Brady del debito emergente negli anni 1990 e servito come consulenti finanziari per il governo della Polonia.)


Peter Allen, Barry Eichengreen, Gary Evans, Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Grecia, EFSF, Institute of International Finance, University of California, Piano Brady

domenica 14 agosto 2011

“La gente chiede rigore”, parola di Tremonti



La maxi manovra del Governo è stata presentata due giorni prima di ferragosto. Un Tremonti indeciso e un Berlusconi sicuro di sé (complice la sua nuova chioma dipinta/incollata ancora più folta) hanno elencato un insieme di misure populiste e reazionarie: con la scusa della crisi e delle richieste dei partner europei intendono smantellare diritti fondamentali, svendere il patrimonio pubblico, tagliare, spremere, tassare, sfinire chi non può difendersi, i meno privileggiati. Per non parlare della fissa dell'abolizione della contrattazione collettiva, oppure dell'idea di cambiare la Costituzione per non permettere la spesa in deficit.
Non sono state toccate le pensioni e non sono stati ridotti gli stipendi nel pubblico impiego, “per ora”, ma i dipendenti delle amministrazioni pubbliche che non rispettano gli obiettivi di riduzione della spesa potrebbero perdere il pagamento della tredicesima mensilità. Cioè se sbaglia chi dirige le conseguenze le pagheranno i sottoposti. Un modo per abituarsi all'idea che di stipendio si prenderà sempre di meno.
Una semplice domanda: queste misure porteranno ad una nuova crescita? Non vedo come. Ma non sono state pensate per tale scopo, il progetto dei nostri governanti, come del resto del trio Trichet-Merkel-Sarkosy è quello di imporre pesanti riforme neoliberiste in tutto in continente, creando una società autoritaria, paternalistica, classista, sul modello ungherese per intenderci.
Le richieste dei nostri partner europei sono sempre le stesse: riduzione della spesa pubblica, taglio degli stipendi, “riforma” delle pensioni, libertà di licenziare per le imprese, aumento dell’IVA, smantellamento dello stato sociale,   liberalizzazioni, privatizzazioni, riforme strutturali e istituzionali “necessarie” (ma non si dice esattamente quali), svendita del patrimonio pubblico, incentivare il settore pubblico a scapito di quello privato. Quest'ultima è una grande contraddizione, perché in Italia e non solo, molte imprese private importanti sono gestite in modo pessimo. Difficile sostenere che la Parmalat, per fare un esempio, sia stata gestita in modo razionale, e le Ferrovie tedesche oppure quelle francesi (che sono pubbliche) invece no.
Bisognerebbe poi cercare di capire che cosa sia in realtà il modello di governo dell'Unione europea: distinti statisti che promuovono la democrazia e il benessere dei cittadini europei oppure  l'espressione politica degli interessi delle banche e dei settori industriali e finanziari dei due paesi leader, che senza nessun controllo democratico e partecipativo impone politiche suicide e riforme coatte al resto dei Paesi membri che diventano de facto Paesi a sovranità limitata.


Tremonti, Berlusconi, Trichet, Merkel, Sarkosy, Parmalat